Roberta Vinci celebrerà il 33esimo compleanno nel miglior modo possibile. La tarantina ha raggiunto la certezza matematica di entrare tra le top 10 del ranking WTA.
E’ la chiusura del cerchio per una generazione di tenniste che hanno regalato all’Italia una gloria senza precedenti. Con il raggiungimento di questo traguardo, le Magnifiche Quattro del tennis italiano hanno tutte giocato almeno una finale Slam e conquistato un posto tra le prime dieci. Per rendere la portata dell’impresa, della storicità del momento, basti pensare che in un secolo di storia l’Italia non aveva mai vissuto niente di simile. Per trovare un po’ di gloria, bisognava scomodare figure quasi dimenticate come Annelies Ullstein (poi Bossi, poi Bellani) oppure Maud Levi Rosenbaum. Donne che hanno avuto a che fare con l’Italia soltanto dopo un matrimonio. Poi, in meno di sette anni, abbiamo raggiunto tutto. Da quando Flavia Pennetta ha centrato le prime dieci nell’agosto 2009, è come se fosse caduto un Muro di Berlino tennistico. Ma al di là del muro non c’era la libertà, bensì quei risultati che abbiamo sognato per anni. All’appello mancava giusto il piazzamento tra le top-10 della Vinci, che qualche anno fa si è incagliata in undicesima posizione, una specie di maledizione per il nostro tennis. La prima vittima fu Silvia Farina, arrivata a tanto così dal traguardo. Le sarebbe bastato vincere una partita in più al Foro Italico (contro la Mauresmo) e ce l’avrebbe fatta. Dopo di lei, anche la Schiavone ce l’aveva quasi fatta ma poi aveva dovuto rinunciare…almeno fino a quando ha vinto quel Roland Garros che ha sfondato ogni argine (Francesca si è poi arrampicata al n. 4, miglior classifica mai raggiunta da una tennista tricolore). E poi c’è la parabola di Roberta. Per anni è stata considerata una doppista prestata al singolare, buona per lo spettacolo e per fare gruppo in Fed Cup. Eppure il suo talento era stato scovato molto presto, quando era ancora una bambina. Michelangelo Dell’Edera fu il primo a intuirne le qualità, poi a 13 anni ha lasciato la nativa Taranto per spostarsi al Centro Tecnico di Roma. Era ancora una ragazzina quando finì sotto l’ala protettrice di Sandrine Testud. Insieme a lei, si tolse lo sfizio di battere Martina Navratilova in doppio (Us Open 2001). Poi è cresciuta, ha imparato a camminare con le proprie gambe. Alcune scelte di vita l’hanno portata a Palermo, città di cui si è innamorata “E non mi stupirei se decidesse di restare lì anche dopo il ritiro” ha detto mamma Luisa in una bella intervista con Alley Oop, la nuova rubrica “al femminile” del Sole 24 Ore. Roberta era salita al numero 37 WTA e pensava che sì, forse poteva diventare una campionessa anche in singolare. Poi si è infortunata tra il 2007 e il 2008 ed è dovuta ripartire dalle 200esima posizione WTA.
Francesca Schiavone e Flavia Pennetta infilavano già i primi exploit, poi nel 2008 è esplosa la grinta d Sara Errani. Lei rimaneva lì, senza reali exploit. Ma poi è maturata, ha imparato a vivere da professionista (“Qualche anno fa facevo fatica a rimanere concentrata per un lungo periodo, mentre oggi sono più continua. Inoltre sono molto più in forma: ho fatto molta corsa e ho perso un po’ di chili” ha confidato in un’intervista alla WTA dopo il successo a San Pietroburgo) e ha trovato il coach perfetto in Francesco Cinà. Il doppio con Sara Errani, nato casualmente in un match di Fed Cup a risultato acquisito (Francia-Italia del 2009 a Orleans) ha gonfiato la sua autostima. Hanno completato il Career Grand Slam, sono salite al numero 1 WTA…e nel frattempo, fatto ancor più strabiliante, Roby migliorava anche in singolare. Il primo salto di qualità è arrivato nel 2011, quando ha vinto tre tornei in pochi mesi. L’anno dopo ha finalmente abbattuto il muro della prima settimana in uno Slam (a Wimbledon 2012) dopo una trentina di tentativi andati a vuoto. Nel 2013 si è presa un altro paio di titoli e ha azzannato quell’undicesima posizione. Era davvero a un passo dal traguardo, ma non c’è stato niente da fare. Come una maledizione.
Quando nel 2014 ha avuto un improvviso calo di rendimento, tutti hanno pensato che l’obiettivo fosse definitivamente sfumato. I numeri non ingannano: chiuso il 2013 in quattordicesima posizione, l’anno dopo il suo nome era franato di 35 gradini. E ormai aveva quasi 32 anni. Giovanissima, per essere una donna. Non così tanto, per essere una tennista. L’anno scorso, di questi tempi, ci si domandava quali ambizioni potesse avere. Aveva tentato un cambio di racchetta, piuttosto infelice, e faticava a restare tra le prime 50 WTA, Poi è successo qualcosa. Un “qualcosa” che non sa spiegare neanche lei, e che va oltre il ritorno (comunque benedetto) al vecchio attrezzo. “Non ho segreti, da Toronto 2015 è cambiato tutto, ma non so cosa sia successo. Forse sono più rilassata fuori dal campo”. Allo Us Open ha centrato un’incredibile finale, coronata dalla clamorosa vittoria su Serena Williams. Quel malloppo di punti le ha permesso di riaccendere un sogno che sembrava ormai sopito. A San Pietroburgo ha afferrato il titolo numero 10, il più importante in carriera, uno dei più prestigiosi mai incassati dal tennis italiano tra i 69 intascati dal 1982 a oggi. Escludendo gli Slam di Pennetta e Schiavone, nonché il titolo a Indian Wells della Pennetta, il titolo di Roberta a San Pietroburgo è paragonabile a Los Angeles 2009 (Pennetta), Mosca 2009 (Schiavone) e, forse, San Diego 1987 (vinto da Raffaella Reggi, che però non incontrò neanche una top-30 nel percorso). Roberta ha vinto d’autorità, spuntandola per un soffio contro la Babos e poi seppellendo d’intelligenza sia Ana Ivanovic che Belinda Bencic. Con la sconfitta di Carla Suarez Navarro a Dubai per mano di Caroline Garcia, le suggestioni sono diventate realtà. Insomma, un bel regalo di compleanno anticipato. E’ un omaggio dolcissimo dopo aver festeggiato il giorno di San Valentino con il titolo numero 10. Adesso il sorriso di Roberta sarà ancora più radioso del solito. Lo merita perché è difficile trovare una sua immagine extra-tennis in cui non sorride. Un sorriso sincero, da donna del sud, risposta più efficace alla robotizzazione del tennis. E’ una banalità, ma vedere la Vinci così in alto è una speranza per tutte le ragazze normali, senza i muscoli devastanti di Serena Williams o le lunghe leve di una Sharapova o di una Muguruza. Il talento e il duro lavoro sono ancora sufficienti per diventare una campionessa. Roberta, la ex bambina che voleva a tutti i costi un gattino e che piangeva di nostalgia di casa quando condivideva la stanza con Maria Paola Zavagli, ce lo ha dimostrato. La top-10 numero 117 nella storia del tennis si chiama Roberta Vinci.
(di Riccardo Bisti, fonte federtennis.it)