(di Riccardo Bisti, su Tennis Italiano numero di Giugno 2018) In Italia si giocano oltre venti tornei Challenger: incredibilmente, il più ricco si gioca in una città della provincia siciliana, con meno di 50.000 abitanti. Caltanissetta condivide il primato con Genova, che però può contare su un bacino umano e imprenditoriale di altro livello. Da par suo, Caltanissetta ha messo in piedi una piccola favola che, dal 10 al 17 giugno, vivrà la sua ventesima edizione. E dietro c’è una bella storia. Nato nel 1999 come tappa di un circuito satellite, è diventato un torneo Futures prima di fare il grande salto nel mondo dei Challenger. E all’ATP non è sfuggito il miracolo di un circolo situato nella splendida cornice di Villa Amedeo, ma con evidenti limiti di spazio. «Il torneo è frutto di qualcosa che è andato oltre la prudenza» racconta Michele Trobia, storico presidente del Tennis Club, ma soprattutto factotum del torneo. Anche se la direzione è affidata a Giorgio Giordano, il grosso del lavoro è svolto in prima persona dal presidente, 78 anni, garbo e linguaggio ricercato che lo rendono un personaggio d’altri tempi. «Dirigo il circolo da una trentina d’anni – dice Trobia – prima nelle vesti di segretario, spesso con deleghe ad altre attività, poi da 20 anni come presidente. Un periodo che coincide con la nascita del torneo».
A suggerirgli di organizzare un evento internazionale fu Giuseppe Adamo, ex presidente del comitato regionale FIT. Come detto, si è partiti con una tappa dei defunti circuiti satellite: quattro tornei con punti ATP assegnati solo alla fine del circuito. Caltanissetta era una tappa del circuito siciliano: «Ma dopo un paio d’anni mi sono reso conto che gli altri circoli, per quanto più grandi, faticavano. Non c’era il giusto ritorno in termini economici e iniziarono a prendere le distanze dal progetto. Cominciai a informarmi per un’iniziativa autonoma: furono molto preziosi i suggerimenti di Carmelo Di Dio, il quale mi disse che ci poteva essere una crescita progressiva. Allora mi sono lanciato e via via il torneo ha acquistato il consenso delle istituzioni, degli sponsor e del pubblico». Il primo passaggio importante è stato il cambio di data. All’inizio, si giocava a fine febbraio: non l’ideale per una città situata a 600 metri di altitudine: «Non dimenticherò mai un episodio – ricorda Trobia, aprendo il cassetto dei ricordi –: una sera, sul tardi, non c’era più la transportation e ho provveduto ad accompagnare un gruppo di giocatori spagnoli. Li ho sentiti chiaramente dire: torneo de mierda. Chiesi perché, mi dissero che faceva troppo freddo. Da lì, il primo spostamento a fine marzo».
Ma se un torneo ITF (nel frattempo era diventato un Futures) è tutto sommato semplice da gestire, i Challenger richiedono sforzi e standard ben diversi. Per effettuare il grande salto ci voleva uno stimolo importante e l’input è arrivato durante la premiazione del 2007, quando il vincitore Gianluca Naso – figlio della Sicilia – nel ringraziare il pubblico disse che non sarebbe più tornato, perché avrebbe giocato tornei di categoria superiore. «Ascoltando quelle parole rimasi di sasso – racconta Trobia – anche perché lo avevamo sostenuto come un figlio. In un atto di orgoglio, allora, chiesi notizie per arrivare a organizzare un ATP Challenger. Molti mi sconsigliarono l’avventura, ma io sono testardo. Siamo partiti dal montepremi minimo, poi piano piano siamo arrivati al top. Da noi sono passati campioni come Zverev, Robredo, Fognini, Volandri, Rublev, Bautista Agut, Haase e Mannarino. Sono personaggi straordinari e ci hanno fatto vivere un sogno. Ho goduto di questo successo in prima persona, più di tutti, al punto che non ho quasi più sentito il bisogno di andare a Roma per gli Internazionali, dove ero affezionato spettatore».
Organizzare un torneo dal budget così importante, specie in provincia e al sud, sembrerebbe quasi proibitivo: «Se non fossimo in grado di applicare un notevole contenimento dei costi, un torneo del genere costerebbe 500550.000 euro – racconta Trobia –. L’aspetto più complicato è il reperimento delle risorse, anche perché l’atteggiamento delle istituzioni cambia col sindaco. C’è chi è più sensibile a certi eventi, e chi meno. Il torneo si gioca a giugno, ma già a settembre bisogna farsi trovare pronti e dare conferma all’ATP. Non abbiamo risorse straordinarie come, per esempio, il torneo di Prostejov. Si gioca la settimana prima di noi e ha sempre un grande campo di partecipazione. Mi devo impegnare duramente in prima persona anche solo per vestire i giudici di linea e trovare le varie forniture». Tra l’altro, l’ATP ha richieste sempre più pressanti, anche nei dettagli. Per esempio, il lettino dei massaggi deve essere ultramoderno, così come il materiale a supporto: 2.000 euro di prodotti devono essere sempre a disposizione. Ed è richiesta la presenza costante di un medico, mentre in passato ne potevi alternare tre. Certe esigenze sembrano scontate, ma in un evento di provincia non è così.
«In tutto questo, riusciamo a mantenere l’ingresso gratuito per il pubblico. L’amministrazione lo preferisce, tenendo conto che offre anche un contributo. Si è parlato di inserire l’ingresso a pagamento anche con l’ATP, ma alla fine hanno capito che è meglio così, salvo realtà di grandi circoli». Il miracolo Caltanissetta è stato avvertito anche dai giocatori. Molti si sono affezionati al torneo, alla tipica ospitalità siciliana: «Robin Haase è venuto da noi per 2-3 anni di fila – dice Trobia –: dopo una durissima partita contro Tommy Robredo disse che era stato il pubblico a fare la differenza. Per qualche strana ragione, la gente aveva fatto un tifo indemoniato per lo spagnolo. Dopo il match l’ho incrociato per le scale, all’uscita dal campo, e disse: ‘Presidente, non verrò più. Ho fatto sacrifici per venire da voi, ero rimasto colpito dalla vostra ospitalità, ma mi avete tradito’. Mi ha colpito molto, perché Haase è un ragazzo educato e garbato. Negli anni sono rimasto sorpreso dai giocatori austriaci accompagnati da Joakim Nystrom: erano un esempio di integrità, fermezza, voglia di arrivare. Gli atleti a cui sono rimasto più legato sono Davide Sanguinetti e Paolo Lorenzi. Il primo giocò il suo ultimo torneo proprio qui: ci chiamarono addirittura dalla California per sapere se si era ritirato per davvero! Con lui si è creato un rapporto speciale. Ma il beniamino, mio e della città, è Paolo Lorenzi. Il sindaco gli ha già promesso la cittadinanza onoraria: è un gentiluomo, mai un segno di stizza, sempre attento, pronto ad accogliere la gente, quando viene letteralmente assediato. L’anno scorso è sceso in piazza a palleggiare con i ragazzi, ed è stata una grande esperienza. Lo ha fatto con sincero amore per Caltanissetta, senza chiedere nulla in cambio. Un gesto che ho apprezzato ancora di più, perché ovviamente c’è anche chi si è comportato malissimo».
Quest’anno, il torneo vivrà un passaggio simbolico, vuoi perché è arrivato un nuovo title sponsor («Intesa San Paolo: li ringrazio di cuore perché hanno creduto in noi e ci hanno permesso di mantenere intatti gli standard organizzativi»), vuoi perché sarà l’ultima con Trobia come cuore pulsante. Aveva annunciato l’addio lo scorso anno, sia per ragioni anagrafiche sia di salute, ma gli hanno chiesto di fare ancora uno sforzo. E lui, in mancanza di un sostituto, ha accettato di andare avanti. Ma quando Trobia lascerà il suo incarico, cosa dovrà succedere per tenere in vita il miracolo nisseno? «Personalmente non posso rischiare ancora. La passione genera emozioni troppo forti, che possono essere un problema per la salute. Devo per forza abbandonare. Il Challenger è una mia creatura e quindi spero possa vivere ancora a lungo. Mi auguro che chi mi sostituirà possa trovare lo stesso coraggio per portare avanti il torneo, che oggi è diventato un appuntamento importante per tutta la Sicilia, soprattutto dopo la chiusura del torneo ATP di Palermo».